Oggi è stata una delle mie periodiche giornate no creative. Ingolfato mentalmente da tutte le cose che sto seguendo e facendo contemporaneamente, per non fare torto a nessuna, non ho fatto niente. Tranne rispondere a qualche mail.
Allora sono andato in cerca di aiuto e ispirazione. Così...per vedere che aria tirava sul web. E mi sono imbattuto nel bellissimo sito www.sceneggiatori.com, dove i miei compagni del corso di Sceneggiatura per Fiction che ho frequentato quest'anno in Rai, sono assidui frequentatori.
Riporto quindi un breve paragrafo tratto da un libro di Jean Claude Carrière, inedito in Italia, "Exercice du scenario", e preso a prestito proprio dallo splendido sito sceneggiatori.com.Sono consigli utili non solo a chi è alle prime armi con la scrittura cinematografica...ma anche a chi, come me, ci lavora ogni giorno e ogni tanto si lascia distrarre dal cercare l'ispirazione, senza mettersi davanti un bello specchietto di cose che servono e che fanno sempre e comunque andare avanti una storia.
QUALCHE CONSIGLIO PUO' SEMPRE SERVIRE
Eccone qualcuno a caso:
- dare ai personaggi un'occasione. Non condannarli in anticipo, come nel melodramma, non renderli più scuri o più chiari in maniera artificiosa. Per i ruoli secondari, pensare di dare ad ognuno il "suo momento" nel film, la scena dove si esprimerà a pieno, dove andrà in fondo a se stesso. L'attore e gli spettatori ne saranno ugualmente soddisfatti.
- coltivare con discrezione l'ambiguità, e anche le sfumature. Sapere che la regia e l'interpretazione - uno sguardo qui, un gesto là - diranno più delle frasi stesse, e in ogni caso lo diranno diversamente. I bei personaggi procedono sempre in una zona di incertezza. La loro azione non è predefinita in anticipo. Può accadere di tutto. E quello che accade sul loro volto o sul loro corpo sarà interpretato in una maniera personale, ogni volta differente, dagli spettatori. Ognuno di loro, ogni volta, completa, perfeziona, a suo modo, il personaggio.
- non temere di partire da un cliché, da una situazione conosciuta. Lavorandoci sopra si arriverà all'originalità, poco a poco. Tant'è che cercando ad ogni costo una situazione di partenza assolutamente originale, stupefacente, la si rigetterà a poco a poco, la si addolcirà, la si arrotonderà, per terminare piattamente sul convenzionale. Ricordarsi la frase di Hitchcock "è meglio partire da un cliché che arrivarci" ed anche qualche celebre citazione "tutto quello che non appartiene alla tradizione è plagio" (Eugenio d'Ors), e "l'originalità è il ritorno all'origine" (Antonio Gaudì).
- tenere a mente ad ogni istante la sacrosanta regola "non annunciare quello che si deve vedere. Non raccontare quello che si è visto".
- sapere che la frase appena scritta ha conosciuto notevoli eccezioni. In Persona di Bergman, Bibi Andersson racconta a Liv Ullmann una storia che dura otto minuti. Non lascia l'inquadratura un solo istante. Dopo di che l'ascoltiamo parola per parola, ma questa volta sul viso di Liv Ullmann. Interpellato, Bergmann ha risposto che era ricorso ad un montaggio classico, un po' sull'una e un po' sull'altra. Ma questo non funzionava, non andava bene. Allora guardò i due racconti l'uno dopo l'altro dicendo (ed è vero) "una storia raccontata non è la stessa di una ascoltata".
- ripetersi che la letteratura è il nemico numero uno, che ogni sortita letteraria avvelenerà il regista, che non saprà come trasporla. Sacrificare le belle frasi, le belle idee.
- sapere che un dialogo breve obbliga il regista ad avere immaginazione.
- immaginare immagini compatte, belle e ricche, immagini emblematiche, ognuna delle quali sembra contenere il film intero. Cercare in ogni scena questa immagine centrale e costruirci intorno la scena. Fare intervenire dopo il dialogo - a meno che il centro della scena non sia proprio una parola o un effetto sonoro.
- scrivere nel tempo cinematografico, che non è il tempo teatrale né quello romanzesco. Sapere che niente è più facile che scrivere in un romanzo l'indomani mattina. Niente è più difficile che mostrare in un film che siamo nel giorno successivo e che è mattina.
- sapere che la celebre psicologia - vicina alla tipologia e alla caratterologia - è una disciplina arbitraria, da cui la verità apparente dipende da ognuno di noi. I caratteri più veri sono imprevedibili - e pertanto logici. Preferire alla logica psicologica il rigore della costruzione drammatica. Sapere che ogni azione rivela qualcosa, che non siamo più nel teatro borghese del XIX secolo, dove le reazioni del personaggio erano conosciute ancor prima della sua entrata in scena. Il cinema è come un uomo a cavallo che arriva in una cittadina del West, e noi non sappiamo niente di lui. Si va definendo poco a poco, dai gesti, dagli sguardi.
- tenere bene a mente un solo elemento teorico: ogni accadimento drammatico, per essere veramente soddisfacente, deve essere inatteso e inevitabile. Barcamenarsi come si può in questa ammirevole contraddizione.
- non dimenticare mai il suono, non considerarlo come un accessorio. Si costruisce la traccia sonora di un film nella sceneggiatura. È bene, quando si crede che la sceneggiatura sia finita, fare una lettura minuziosa seguendo solo il suono, provando a sentire già il film. Anche qui si possono trovare ripetizioni, lungaggini, come in un racconto, ed anche il vuoto, l'assenza, una povertà manifesta.
- prevedere sempre un ultimo lavoro sulla sceneggiatura insieme al regista nella settimana che precede le riprese, quando la scenografia è pronta e gli attori ingaggiati. Il film comincia a precisarsi, ad apparire. È stupefacente vedere i cambiamenti importanti che d'un tratto sembrano necessari a qualche ora dalle riprese.
- ripetere tre volte ad alta voce ogni mattina questa citazione di Céchov (dalle sue Carnets des notes) "la cosa migliore è evitare la descrizione di uno stato d'animo. Bisogna provare a renderla comprensibile dalle azioni dell'eroe".
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1 commento:
Davvero carino da parte tua rendere omaggio a Carrière e, ovviamente, al mitico sceneggiatori.com...Vieni a trovarci spesso e magari registrati, così puoi lasciare qualche impronta sul forum ;-)
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