
Nonostante se ne sia (s)parlato abbastanza nei blog dico anche io la mia, come sempre in ritardo, sul Comicon di quest'anno. Un paio di post fa dicevo: "riviste (parola pericolosa di questi tempi in Italia ma, a quanto pare, a noi fumettari amiamo il rischio)".
A quanto pare ci avevo visto giusto. Le due novità collettive più attese e al centro dell'attenzione sono state le riviste
Mono n. 2 e
Motel n. 1. Pioggia di critiche sull'una e sull'altra, manco fossero state le nuove testate di punta, che so, della Bonelli e dell'Eura!
Dico la mia perchè sono (stato, nel caso di Mono) coinvolto in entrambe. Da molti è stato messo in discussione proprio il concetto di rivista (su tutti:
Ottokin), ma in alcuni casi si andava oltre e si usava la rivista per criticare l'operato delle persone che ci stanno dietro. E questo fa parte di quella "guerra dei poveri" che Giorgio Messina sottolineava in un suo lucido intervento nel blog di Ottokin. E chi mi conosce, sa bene che peso specifico abbia per me questa affermazione: ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. La
paupuerorum bellum è un modus vivendi dell'Italia tutta....figuriamoci se dobbiamo sorprendercene nel mondo del fumetto. Il concetto alla base della PB è che meno soldi e prospettive ci sono in ballo, più si sta lì ad accapigliarsi. Ma torniamo a noi (che poi mi accusano di diventare prolisso e polemico come Rrobe ;-)

Se Motel addirittura è stata paragonata ad una fanzine ben fatta (anzi, neanche quello!), di Mono, pur constatandone la buona fattura (sempre basandosi sul concetto di "rivista") se ne contesta addirittura lo scopo, e la speculazione economica che secondo alcuni ci starebbe dietro. Molto saggiamente, nel blog di Mono di cui sopra, editore e curatori spiegano, conti alla mano, le loro scelte editoriali, che io condivido, conoscendone fin dall'inizio i retroscena. E se in parte accetto le osservazioni fatte da
Roberto, dico anche che il "controllo sui materiali" non dovrebbe neanche esserci da parte dei curatori, perchè tutti gli autori sono
invitati, e non precettati, a partecipare. E nella mia etica professionale se non mi sento, non mi va o non mi viene in mente niente da raccontare, proprio perchè è gratis e lo devo fare per piacere e non per dovere, non accetto l'invito. Se lo accetto è anche per sfidarmi sul poter raccontare qualcosa che abbia un senso in una sola tavola. Poi posso scoprire che ho perso la sfida (e avere fatto una tavola "furba"), ma il concetto di accettare o meno la collaborazione e sforzarsi quindi di garantire un prodotto che prima di tutto soddisfi l'autore, e quindi l'editore, non dovrebbe essere messo in discussione.
Per quanto riguarda Motel la butto per un attimo sul personale. La mia storiella "Giustizia Cieca", apparsa su Motel 1, è stata definita da
Ausonia addirittura "triste". Vabbè..non mi scompongo. Anche Jek Vans è piaciuto molto ad alcuni, e per altri era solo una piacevole storiella magari raccontata neanche troppo bene. De gustibus, ragazzi. E' anche vero poi che l'etica professionale alla base del lavoro mio e di Ausonia è profondamente diversa: facciamo fumetto in modo diverso, con scopi diversi e per pubblici diversi. Se sui gusti non di disputa, quello che un pò mi ha dato fastidio è stato l'attaccare il principio e la volontà che entrambi i curatori e gli editori hanno messo, nel bene e nel male, nella realizzazione di entrambe le riviste. Ognuno con i suoi mezzi e, diciamocelo pure senza malignità, con i suoi limiti.
Tra il fare benino e il non fare, in questo paese sembra che sia sempre meglio non fare. Perchè se provi a fare qualcosa, con i tuoi mezzi e con tutta l'onestà intellettuale di provarci, tutti a starti addosso perchè non sei stato il supermegaultrafico che tutti si aspettavano che fossi. Ovviamente fatto salvo il discorso che si provino a vendere fischi per fiaschi (credo la delusione alla base della critica di Ottokin): o per ingenuità intellettuale (
ogni scarrafone è bello a mamma sò) o per furbizia. Doveroso rimanere delusi in entrambi i casi, di più nel secondo. E io credo che per Motel rientriamo nel primo caso.
Adesso non starò lì a tirar morale sull'una e l'altra questione. Ho detto la mia su quello che, secondo me, è il problema "intelletuale" alla base di entrambe le critiche. Per come sono fatto io, se a me non piace l'operato di qualcuno, lo critico. E finchè siamo in un paese libero possiamo farlo. Posso anche, sempre per carattere, essere portato a vedere il lato positivo delle cose (e avere fatto per breve tempo l'imprenditore mi ha insegnato che se non fai così, alla prima difficoltà ti viene di mollare tutto, e amen), e quindi addolcire le critiche.
Se poi non mi piace la persona, come si comporta, come lavora, non sto neanche lì a sparare a zero su quello che "produce". Se quello che fa è la proiezione di come è, preferisco non averci a che fare. Quello del fumetto è un piccolo orticello. Per la mia sanità mentale, amo essere "amico" di pochi colleghi, e "collega" di molti amici. Per esempio, pur nutrendo immensa stima personale e professionale nei confronti di
Diego, non potrei mai affermare di essere suo amico. E anche lui la pensa così. Non abbiamo fatto il militare insieme, non abbiamo avuto la stessa comitiva, non mi ha mai chiesto aiuto nel momento del bisogno. Ma so che è un collega su cui posso contare, se avrò bisogno di un consiglio, o di qualunque altra cosa che riguardi il nostro legame professionale (almeno lo spero, vero Diè ;-)

Sulla più enorme questione del concetto di rivista, posso dirvi come la penso io. Cosa sono le riviste a fumetti? Una cosa che non esiste più. E come tale, è rimasta idealizzata nelle mente di tutti quelli che l'hanno vissuta. Faccio l'esempio di Arthur King di Bartoli e Domestici. Ma per spingermi oltre, è come se ipotizzassimo che Dylan Dog ha chiuso al 100, e qualche anno dopo qualche altro editore tentasse coraggiosamente di riprenderne la pubblicazione.
Tutti a stare lì a dire che come quei 100 numeri non c'è ne sono, etc. Ecco, è lo stesso parlare "a memoria".
Gli editori, ma soprattutto il pubblico e gli autori che le facevano, fanno parte di un pezzo di fumetto italiano che non c'è più. Adesso, per leggere qualcosa che probabilmente in altri tempi sarebbe finito su una delle gloriose, dobbiamo andare a comprare un volume Coconino, Bd, o altro.
Adesso ci dobbiamo accontentare, con i numeri che il pubblico e il mercato dei lettori permettono, di piccoli e coraggiosi tentativi, non sempre riusciti ma almeno migliorabili, come possono essere
Mono e
Motel. E io mi sento orgoglioso di avere partecipato ad entrambi questi piccoli laboratori di creatività. Con storie e racconti che, ovviamente, possono essere piaciuti o meno.
PS: se siete arrivati a leggere tutto fin qua, senza saltare nulla, siete dei coraggiosi. Alla prossima fiera vi offro una birra. Nel prossimo post vi parlo delle emozioni del Comicon.